In letteratura scientifica è ormai noto come: sia possibile avere dolore senza un reale danno dei tessuti ma, come è possibile che questo accada? Molte persone si trovano a convivere con dolori cronici pur non avendo alcun danno effettivo dei tessuti locali, questo accade perché il dolore non sempre è sinonimo di danno fisico ma può essere l’espressione di un’alterazione del sistema nervoso, ovvero quel sistema corporeo che trasmette le informazioni. Detto così sembra qualcosa di molto grave, in realtà è semplicemente un lato degli infortuni (e del dolore) di cui si parla (e si conosce) molto poco. In questo articolo proviamo a capire meglio il ruolo del sistema nervoso centrale negli infortuni e come mai questo sistema può tenere acceso il dolore nonostante non vi sia infiammazione o danno al tessuto.
Il dolore è semplicemente un meccanismo di protezione, ci avvisa che qualcosa non va. Quando però perdura per più di 3 mesi si può andare incontro alla così detta: sensibilizzazione centrale. La sensibilizzazione centrale è un’alterazione del modo in cui il sistema nervoso centrale (SNC) processa i segnali del dolore. In pratica, è come se diventasse più sensibile del normale, il volume del dolore si alza. La sensibilizzazione si può manifestare con alcuni segni tra cui: dolore persistente e costante, esteso anche ad altre aree (non soltanto quella iniziale di infortunio) e dolore provocato anche da minimi movimenti o addirittura semplice sfregamento della zona (PMID: 20961685; PMID: 25247901). Il dolore è un’esperienza complessa ed è la somma di più fattori tra cui:
- Stimoli nocicettivi (terminazioni nervose che rilevano cmabiamenti nei tessuti e danni)
- Modulazione spinale (i nervi arrivano al midollo spinale)
- Interpretazioni corticali (le informazioni raccolte dalle teminazioni nervose arrivano al cervello)
- Emozioni, esperienze, contesto sociale, aspettative e convinzioni
La letteratura scientifica ha ormai dimostrato come possa avvenire anche il contrario, ovvero persone con degenerazioni ed ernie discali che però non hanno dolore. Si può affermare che il dolore non è sempre correlato all’entità del danno dei tessuti (PMID: 25430861). Questo studio dimostra che fino all’84% degli over 50 ha dischi vertebrali degenerati senza però avere dolore.
Quando il dolore diventa persistente (cronico) le aree cerebrali deputate al controllo e modulazione del dolore come: corteccia prefrontale, amigdala e insula) possono subire cambiamenti strutturali e funzionali. Il cervello si adatta a percepire dolore anche in assenza di una reale minaccia (PMID: 25180885). In questo studio si osserva una diversa neuroplasticità in soggetti con dolore lombare cronico. L’attività dell’amigdala aumenta (area legata alla paura e all’ansia), si altera la connettività della corteccia prefrontale e cambia il default mode network (DMN) ovvero una rete cerebrale che diventa disfunzionale in pazienti con mal di schiena cronico (PMID: 25180885).
Quali sono i fattori che alimentano il dolore persistente?
- Paura del movimento
- Stress cronico
- Disturbi del sonno
- False credenze (piegare la schiena fa male)
- Sedentarietà e poco movimento
Nella voce stress cronico rientrano chiaramente moltissimi fattori: preoccupazioni familiari, relazionali, lavorative, isolamento sociale, bassa autostima e ansia per il futuro. Proprio per questo motivo e l’indissolubile relazione tra dolore, stress e psiche. L’approccio dovrebbe sempre essere multidisciplinare per approfondire e trattare accuratamente la vera causa del problema non soffermandosi alla superficie. QUesto è forse uno dei problemi principali della medicina moderna che si limita in moltissimi casi a trattare il sintomo (dolore) piuttosto che la causa.
Uno degli errori più comuni è evitare a priori dei movimenti o esercizi per paura di farsi male. Così facendo si provoca un indebolimento ancora maggiore dei tessuti che andranno incontro più facilmente infortunio.
Strategie efficaci (secondo la ricerca)
- Educazione al dolore. Capire come funziona il dolore e saper intepretare correttamente i segnali del corpo, riduce l’intensità del dolore, l’ansia e la paura di movimento (PMID: 22133255).
- Esercizio terapeutico e sovraccarico graduale. Un programma specifico e mirato con esercizi e movimento rinforza i tessuti, diminuisce la percezione del dolore (riorganizzando le vie cerebrali), migliora la mobilità e la fiducia (PMID: 28436583).
- Meditazione/mindfulness. Un approccio (a mio parere) molto sottovalutato ma estremamente efficace. La pratica quotidiana della meditazione aiuta ad abbassare il tono del sistema nervoso simpatico, riducendo ansia, stress e pessimismo. Migliora la positività e la percezione del dolore (PMID: 23942276).
Conclusioni
Il dolore cronico non è una condanna è semplicemente un segnale che qualcosa deve essere cambiato. Molto spesso il cambiamento avviene grazie al lavoro sui 3 punti precedenti. Conoscere i meccanismi del sistema nervoso centrale permette un approccio più efficace e attivo, l’obiettivo non è spegnere un sintomo ma riprogrammare il sistema.
Nota: terapie passive vs attive
Troppo spesso la medicina tradizionale si focalizza sul sintomo e, attraverso terapie passive (farmaci, tecar, laser, fasciature, creme1) si illude di risolvere così. Il corpo è ben più intelligente. Per risolvere definitivamente un problema bisogna agire sulla causa e bisogna farlo in maniera attiva. Ciò sicuramente richiede più energie e più tempo, ma garantisce un risultato certo. Lavorare sulla percezione del dolore, il rinforzo dei tessuti e la gestione dei carichi dona al corpo maggior forza, alza la tolleranza al dolore e previene future recidive. Queste sono terapie attive. Lo ripeto spesso, in caso di dolore e ancor più dolore cronico è fondamentale affidarsi a professionisti competenti e aggiornati che sappiano trattare con efficacia la problematica.
Quando si soffre di dolore cronico capire è già parte della cura.
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